CAFFE' ALLE CROCCHETTE DI POLLO
"Erano i sensi i primi a svegliarsi, non il mio corpo ancora avvolto come un sudario nelle coperte di flanella, non i miei occhi ancora posticci, non la sveglia che inesorabilmente ogni mattina mi riportava alla cruda realtà del dover andare a scuola.
Il mio paffuto naso ghiacciato mi stava annunciando che era arrivato…come un solletico fù il caffè per primo, di quelli fatti in grande quantità per tutta la famiglia e per i parenti che stavano arrivando e subito dietro l’inconfondibile odore di fuoco, non proprio di fumo, ma di legna umida che lentamente esce dal suo torpore e si lascia avvolgere dalla danza delle fiamme.
Per quanto mi riguarda ci misi ben poco ad uscire dal mio bozzolo, perché le orecchie corsero in aiuto al naso a sancirne il momento, e il rumore delle pentole che senza frenesia iniziavano ad essere adoperate, unito alle voci che come un sussurro d’inizio poi si trasformano in gran vociare erano a consacrare che il 7 ottobre era arrivato.
Vi chiederete il perché di questa inusuale data, ma l’unica cosa che posso rispondervi è che gli abitanti del mio paese non erano proprio dediti alle festività religiose né civili, ma se c’era una cosa per cui andavano matti era festeggiare. La leggenda narra che non trovando festività per cui fossero tutti d’accordo valesse la pena di fare festa, decisero di crearsene una tutta loro e di anno in anno gli davano una suo motivo d’essere e benché non fossero gente di spiccato senso patriottico né religioso, erano di sicuro i più orgogliosi dei prodotti della propria terra e non era consigliabile contraddire il dogma che non vi erano mele più buone nel raggio di chilometri, né pane più fragrante, né carne più tenera, né …beh la lista sarebbe davvero lunga.
Sappiate che la festa in questione era più che altro una vera e propria guerra di vezzosità e virtuosismi, perché non fosse mai che la Carla della casa accanto facesse un brodo più speziato del nostro, né Mauro il droghiere un agnello più dolce. Se foste passati dalle nostre parti in quel giorno, avreste detto di un paese disabitato, perché non c’era persona che non fosse messa al lavoro, vecchi e bambini compresi.
Non vi annoierò dilungandomi su quanto lunga fosse la tavolata allestita nell’unica via, di quali idilliache visioni erano testimoni i nostri occhi ed il nostro palato, e sarei ben lieto di invitare le vostre soavi manine alla tenzone, perchè tutto ciò ora non ha più importanza.
Non crediate dica questo per paura riusciate a smascherare ciò che gli occhi di un bambino vedono colme di magia, ma non ha più importanza perché più non gliene viene data, non vi invito a passare di qua perché ciò che vedreste sarebbe solo gente che corre indaffarata da non si sa che cosa quasi non sapesse che il senso dell’andare non è arrivare, gente senza tempo, senza tempo neppure per vantarsi più e non ci credereste mai, ma senza tempo neppure per mangiare! A volte sì, ma più per necessità fisica, non certo per il puro piacere di farlo, di farselo.
E’ per sfogarmi che sono qui a tediarvi, permettetemelo, perchè tenetevi forte, la cosa più incredibile ancora non ve l’ho detta!
Non saremmo un paese normale se non avessimo il matto del villaggio, che alle 3 di ogni pomeriggio se ne viene fuori dalla biblioteca, in cui era stato messo a custode, urlando “i matti siete voi!!!”…come dargli torto…ma ieri no…ieri se n’è uscito con un gran discorso altrettanto strampalato, minacciando una frase sibillina che pressappoco suonava così: “il gusto del gusto non vi gusta più e gustando non gusterete ciò che di gusto non ne ha più”.
Chi di altrettanto matto avrebbe dato peso alle sue parole?
Ciò che so è che lo stupore nell’ora di cena risuonò per valli e boschi..il cibo non era più cibo..cioè…era cibo…la bistecca ha la forma della bistecca, ne ha il colore, ne ha la consistenza…ma di sapore e odore neanche l’ombra, o meglio sapeva di cenere! Altre cose peggio ancora: la pera sapeva di lattuga, il formaggio di tamarindo, il caffè di crocchette di pollo e così via tutti i gusti erano stati mischiati!!
La cosa peggiore è che mancano poche ore al 7 ottobre, e sebbene il paese non festeggi più, ho sempre cercato di tener viva la tradizione almeno nella mia famiglia, perché quel risveglio il mio piccolo Franci lo deve avere.
Ho tentato di cucinare qualcosa, ho assaggiato di tutto, ho provato a frullare un mandarino ( che adesso sa di fagioli) con un pezzo di pecorino ( che ovviamente ora sa di pancetta), ma ciò che ne è venuto fuori assomiglia più ad un cioccolatino al cocco!!!
Sono corso fuori casa con una vaga idea troppo sconclusionata per chiamarla pensiero, diretto alla biblioteca dove tutto ebbe inizio.
Vi entrai senza soffermarmi a riflettere, perché sapevo che ogni ragionamento logico mi avrebbe fatto desistere, e non appena i miei occhi si abituarono all’oscurità la scena che mi si presentò rispecchiava esattamente l’assurdità delle mie attese.
Il vecchio era seduto su di una sedia a dondolo al centro di un salone completamente spoglio, circondato da enormi scaffali vuoti.
Si scaldava le mani ad un fuoco immaginario della cui luce però il suo viso vibrava.
Forse era un ghigno, o forse i lineamenti della sua età indefinita gliene conferivano le sembianze, ma sembrava tutt’altro che stupito nel vedermi.
Sembrava tutto già scritto, come in un film muto dove le parole sono soltanto una nota dissonante quasi a spezzarne il momento, il suo sguardo su di me non era di sfida, ma di conforto, di comprensione.
Mi voltai cercando qualsiasi altra cosa di meno assurda da guardare a cui potessi aggrapparmi per ritrovare un bagliore di lucidità, e fu in quel momento che mi accorsi della miriade di bigliettini appoggiati sugli scaffali. Mi avvicinai e ne presi uno, poi un altro e poi un altro ancora…su di ogni foglio il nome di un cibo diverso: passatelli, vino, uova... mi girai di scatto e corsi verso lo scaffale dall’altra parte della sala e presi un altro di quei quadratini di carta…ma niente…bianco…completamente, inequivocabilmente bianco.
Mi stava venendo da piangere, probabilmente la sua pazzia era contagiosa e mi aveva portato a credere in una qualche possibile soluzione, o forse…CIPOLLA…questo è odore di cipolla! Il bigliettino odorava di cipolla…ne presi un altro e che mi venga un colpo ma odorava di triglia, ne presi un altro ancora, ma non emanava alcun odore allora cercando di nascondermi dallo sguardo del vecchio lo appoggiai alla punta della lingua e…vino!
Tenendolo in mano corsi di nuovo dall’altra parte del salone, cercai tra quelli di prima e quando trovai la scritta vino…puff…si dissolsero in una scia di Teroldego.
Mi sentivo tremendamente stupido, ma ero quasi divertito da quel gioco, quando mi resi conto che mi ci sarebbe voluta ben più di tutta la notte per associare tutti i bigliettini e allora addio dolce risveglio di… Franci!! Di colpo la porta si aprì e fece capolino la sua piccola testolina…quel piccolo giocherellone mi aveva seguito e capendo ben prima di me quanto stava accadendo, era corso di casa in casa chiamando a raccolta tutto il paese!
Non so dirvi chi vinse nel piatto più gustoso della festa del giorno dopo, ma so con certezza quanta gioia vidi negli occhi di quel bambino nel correre di scaffale in scaffale alla ricerca dei biglietti in quello strano gioco, quasi fosse un piccolo chef alla ricerca del suo piatto perfetto." Fine
Alby